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La pinacoteca del monastero premostratense di Praga espone una serie di inediti, di cui è stata appena attribuita la paternità a maestri italiani, fra cui Luca Cambiaso

Su un’altura fra il quartiere di Hradčany e la collina di Petřín sorge il monastero di Strahov. Qui risiedono i Premostratensi, sacerdoti che uniscono alla vita contemplativa l’educazione e la promozione della cultura. Accompagnati dal direttore della biblioteca, Evermod Gejza Šidlovský, visitiamo le sale della pinacoteca e della biblioteca, veri gioielli di Strahov in cui si respira l’atmosfera di saggezza e cultura del luogo.

La pinacoteca, frequentata ogni anno da circa 30mila visitatori, vanta una delle collezioni monasteriali più importanti dell’Europa centrale, e proprio da qui inizia la nostra visita. La galleria possiede circa 1500 opere, perlopiù quadri e alcune sculture, ma l’esposizione permanente riesce a proporne solo un decimo per insufficienza di spazi, le altre giacciono nei depositi in attesa di un ampliamento. La mostra accoglie una selezione di opere boeme ed europee che spaziano dal XIV al XIX secolo: pitture dal gotico al romanticismo passando per barocco e rococò, l’arte dell’epoca di Rodolfo II nonché alcuni esempi di pittura italiana. Proprio l’arte italiana è al centro dell’attenzione per la recente scoperta di una decina di nuovi quadri attribuiti a pittori italiani del periodo manierista e barocco. Sono esposti all’interno della pinacoteca, in una mostra temporanea (aperta fino a fine dicembre), dopodiché alcuni di essi entreranno a far parte dell’esposizione permanente. La presenza di tele di provenienza italiana in Repubblica Ceca è considerata rara poiché solo i più ricchi potevano permettersele. A restaurare le pitture Adam Pokorný della Galleria Nazionale e a indicarle come opere d’autore lo storico d’arte Zdeněk Kazlepka della Galleria Morava di Brno.

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(Il giudizio di Paride di Luca Cambiaso)

È stato quest’ultimo ad annunciare la scoperta de Il giudizio di Paride del pittore genovese Luca Cambiaso e ad accertare che la tela faceva parte della collezione dell’imperatore Rodolfo II al Castello di Praga, come confermano gli inventari di corte. Il quadro era scomparso dopo il 1950 ma, a differenza di altre tele perdute, Kazlepka ritiene che non abbia mai abbandonato il territorio boemo, sebbene sul suo arrivo a Strahov si possano solo azzardare delle supposizioni. Oggi è considerato la “scoperta dell’anno”. “I quadri pendenti di questo artista sono pochi, si è dedicato principalmente alle pitture a muro, dunque il Giudizio di Paride di Strahov arricchisce significativamente il catalogo della sua opera personale” commenta Kazlepka. Lo storico giudica d’ingente valore anche La Strage degli Innocenti a Betlemme del veneziano Andrea Celesti, altra opera identificata di recente e prima inserita nel catalogo del monastero come una copia di Pieter Paul Rubens attribuita al pittore boemo Petr Brandl.

È stato possibile recuperare i quadri perché a Strahov sono in corso un’analisi scientifica del fondo e il restauro delle opere restituite dopo la caduta del regime comunista, quadri riemersi negli ultimi anni dai depositi delle istituzioni statali. Bisogna infatti sapere che nel 1950 il regime comunista chiuse il monastero causando il saccheggio delle raccolte, la cui parte più considerevole fu rilevata dalla Galleria Nazionale e il resto da vari enti a tutela dei beni culturali.

Solo con la Rivoluzione di Velluto del 1989 il convento fu restituito ai Premostratensi che nei primi anni Novanta procedettero alla ricostruzione dei locali e rinnovarono in gran parte il fondo della pinacoteca. Ma padre Šidlovský riferisce che qualche pezzo manca ancora, “è la Galleria Nazionale a dover restituire altre delle opere acquisite dopo la chiusura del convento nel 1950”.

Molte sono le opere ancora da catalogare e restaurare, alcune richiederanno un delicato lavoro per la tragicità dei danni. Potrebbero emergere altri capolavori impensati, “poiché ci sono almeno 300 altre opere su cui esistono dubbi in merito alla paternità”, rivela Šidlovský.

L’idea di rendere accessibili i quadri nella pinacoteca appena edificata era venuta all’abate Jeroným Zeidler nel 1835, incentivato dal crescente interesse per la Festa del Rosario, capolavoro di Albrecht Dürer che curiosamente oggi è l’unica copia esposta e il cui originale si può ammirare alla Galleria Nazionale di Praga. Già nel Settecento esisteva a Strahov una raccolta di pregio di quadri giunti al monastero grazie ad acquisti e regali; tra essi anche i pezzi appartenuti a Rodolfo II che quando spostò la corte a Vienna, vi trasferì solo parte delle proprie opere mettendo in vendita gli altri pezzi. All’epoca della fondazione la pinacoteca contava 400 quadri ma negli anni settanta dell’Ottocento il catalogo superava già le mille voci. La sala fu subito frequentata da decine di amanti dell’arte di tutta Europa che in breve divennero centinaia.

“Il pezzo forte della pinacoteca è la Madonna di Strahov, opera di un maestro boemo del XIV secolo” dice Šidlovský. Degni di nota sono i pittori d’epoca rudolfina Bartholomaeus Spranger e Hans von Aachen e i rappresentanti del barocco ceco Karel Škréta e Petr Brandl. Si possono ancora ammirare i paesaggi dell’affreschista Václav Vavřinec Reiner, le opere del praghese esponente del rococò Norbert Grund e il bozzetto di Franz Anton Maulbertsch che ripropone la versione ridotta dell’enorme dipinto che riveste il soffitto della Sala Filosofica della Biblioteca di Strahov. Accanto a temi religiosi, scene storiche e paesaggi ci sono molte nature morte esposte o nei depositi della pinacoteca. Una cinquantina di esse si potrà ammirare da dicembre in un’esposizione preparata in collaborazione con la galleria Gate di Husová ulice nel centro storico di Praga.

L’arte è protagonista anche nella chiesa gotico-rinascimentale di S. Rocco, interna al monastero e costruita per volere dell’imperatore Rodolfo II dopo l’epidemia di peste del 1599, che ospita oggi le opere d’arte moderna della galleria Miro.

Il secondo vanto di Strahov è la biblioteca con le sue due sale. Aperta al pubblico già alla fine del Settecento, è la più grande collezione privata di libri della Repubblica Ceca. Custodisce circa 260.000 volumi, una gran quantità di cartografie storiche, 1600 incunaboli con alcuni esemplari unici al mondo e 3.000 manoscritti, testimonianze letterarie dei secoli IX-XVIII. La Sala Teologica, progettata dall’architetto Giovanni Domenico Orsi, ospita soprattutto volumi di carattere teologico e storici globi terrestri e celesti. La volta è ornata da stucchi e affreschi settecenteschi del canonico Siard Nosecký, con scene ispirate a saggezza e letteratura. La Sala Filosofica, sorta per iniziativa dell’abate Václav Mayer, fu allestita dall’architetto Ignác Jan Nepomuk Palliardi. La libreria espone 45.000 volumi di argomento filosofico, storico e scientifico e raggiunge il soffitto, interamente ricoperto dal già citato affresco di Maulbertsch che illustra “Il progresso spirituale dell’umanità”. Questa sala ha conquistato una tale fama che nel primo registro delle visite appaiono nomi quali l’ammiraglio Orazio Nelson e la principessa austriaca Maria Luisa, moglie di Napoleone Bonaparte. La biblioteca è anche location di grandi film hollywoodiani come “La vera storia di Jack lo squartatore” e “Casino Royale”. Nel corridoio che collega le due sale il settecentesco Gabinetto delle curiosità, un museo che espone stranezze del mondo animale e vegetale.

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(Sala Teologica della Biblioteca di Strahov)

Le sale necessitano di restauri per rimuovere i danni di mezzo secolo d’incuria mentre i depositi di manoscritti e incunaboli vanno dotati di moderni impianti di climatizzazione. Per finanziare i lavori si è escogitata un’iniziativa singolare: a febbraio 2012 i cittadini hanno trovato nella cassetta delle lettere dei vaglia postali con cui poter fare una donazione. La raccolta, autorizzata dal comune di Praga, si propone di raccogliere in tre anni la somma per salvare questi tesori, parte dell’eredità culturale nazionale.

La visita volge al termine. Ripercorriamo il cortile dominato dalla basilica dell’Assunzione della Vergine Maria, edificio in origine romanico, danneggiato durante la guerra di successione austriaca e barocchizzato a metà del ‘700 dall’italiano Anselmo Martino Lurago. L’intero monastero subì vari cambiamenti stilistici nel corso di un’esistenza burrascosa fin dalla sua fondazione: resistette a incendi, guerre, rivoluzioni e ai soprusi dei regimi. L’attuale aspetto barocco cela uno dei più antichi complessi romanici d’Europa, fatto erigere dal re boemo Vladislao Il e dal vescovo di Olomouc Jindřich Zdík nel 1143. Dopo un incendio nel 1258 fu ricostruito in stile gotico e nel 1360 Carlo IV lo fece incorporare nelle mura cittadine. Ampliato e abbellito in epoca rinascimentale, fu distrutto alla fine della Guerra dei Trent’Anni, dopodiché l’architetto Jean Baptiste Mathey ne attuò la riconversione barocca. Fin dalla nascita è gestito dai Premostratensi, ordine fondato nel 1120 da San Norberto, la cui statua sormonta l’arco del 1742 che costituisce l’entrata principale al convento e da cui usciamo.

di Sabrina Salomoni