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Intervista al professor Francesco Leoncini – storico di fama internazionale e docente di Storia dei Paesi Slavi e Storia dell’Europa Centrale presso l’Università di Venezia

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Con il termine „sudeti“ viene indicata a partire dal 1918, anno della costituzione dello stato cecoslovacco, la minoranza di lingua tedesca in Boemia presente sul territorio fin dal Medioevo e prima di questa data conosciuta come „tedeschi-boemi“ e „tedesco-slesiani“.
“Il termine deriva dall‘omonima catena montuosa situata a Nord della Boemia e indica un gruppo inserito in un nuovo stato che doveva avere una sua identità unitaria“ ci spiega il prof. Francesco Leoncini – storico di fama internazionale e docente di Storia dei Paesi Slavi e Storia dell’Europa Centrale presso l’Università di Venezia – un vero esperto di questo argomento al quale ha dedicato il volume „La questione dei Sudeti 1918-1938“ edito da Liviana Editrice, Padova 1976. Lo abbiamo incontrato lo scorso aprile a Praga, in occasione di un convegno sul Risorgimento italiano organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura. Abbiamo colto l’occasione per sentire le sue opinioni su questo tema, che sono spesso in controtendenza rispetto a quelle della storiografia, sia di parte ceca che tedesca. Secondo il prof. Leoncini, alla fine del primo conflitto mondiale, gli esponenti politici sudeti rifiutarono lo stato cecoslovacco sostenendo di appartenere all’Austria tedesca, Deutschösterreich. “I cechi li invitarono a prendere parte alla costituente in quanto l’idea di Edvard Beneš, l’allora ministro degli esteri della Cecoslovacchia, era di fare del nuovo stato un sistema simile alla Svizzera, che funzionasse in modo cantonale viste le diverse etnie presenti sul territorio. Della stessa idea era anche il rappresentante di Berlino a Praga che invitò gli esponenti politici sudeti a partecipare alla costituente dichiarando che una cosa del genere avrebbe fatto aver loro peso nei destini futuri del nuovo stato. Ma i sudeti rifiutarono in modo compatto” sottolinea Leoncini.
Una serie di storici affermano che Beneš, in occasione della Conferenza di Pace di Parigi del 1919, mentì sul numero effettivo dei sudeti presenti nel nuovo stato, per favorire le concessioni di territorio alla Cecoslovacchia e portò avanti una politica di assimilazione forzata nei confronti delle minoranze etniche presenti sul territorio. Quest’ultima è però una tesi che Leoncini confuta con un argomento su tutti: “Fra gli stati successori della monarchia asburgica, la Cecoslovacchia fu quella che più di tutti rispettò e garantì lo sviluppo delle minoranze. Durante le due guerre, infatti, fu l’unico paese a Est della Svizzera a mantenere una struttura democratica con una rappresentanza totale delle forze politiche. Ricordiamo che il partito Comunista era legale e che le minoranze avevano ministri all’interno del governo”. Lo storico italiano si mostra molto critico anche verso quegli studiosi che vedono nella questione sudeta una mancata applicazione dei famosi Quattordici Punti, esposti nel 1918 dal presidente americano Woodrow Wilson al Senato degli Stati Uniti d’America, relativi al nuovo ordine mondiale post-bellico e al famoso principio di autodetrminazione dei popoli. “Quando si decise sulle frontiere cecoslovacche – sostiene Leoncini- intervenne direttamente Wilson al quale fu chiesto se le approvava, e visto che i Sudeti non avevano mai fatto parte della Germania, non avrebbe avuto senso escluderli dalle frontiere cecoslovacche. Il diritto all’autodeterminazione doveva comunque essere contestualizzato e non si poteva definirlo assoluto come ad esempio il diritto alla libertà o alla proprietà. Se si fosse applicato in maniera meccanica, i primi ad averne tratto vantaggio sarebbero stati i Tedeschi che si sarebbero ingranditi, quindi era impensabile un’applicazione del genere che avrebbe in questo modo favorito la Germania. C’è anche da dire che Wilson all’inizio non parlò di „autodeterminazione“ ma di uno „sviluppo autonomo dei popoli dell’Austria-Ungheria“. Wilson vedeva questa situazione collocata in un nuovo ordine mondiale di cui la Società delle Nazione sarebbe stata la garante”.

Leoncini è altrettanto critico nei confronti della tesi secondo la quale all’indomani del primo conflitto mondiale esistesse la volontà, da parte degli Stati vincitori, di punire la Germania. “Questo accadde piuttosto alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la Grande Guerra, la Germania ebbe invece perdite territoriali molto limitate e le stesse riparazioni di guerra non vennero decise a Parigi, ma successivamente. Quindi anche questo è un mito”.
Bisogna anche dire che i Sudeti erano essi stessi divisi sulla partecipazione politica al governo cecoslovacco anche se nel 1926 riuscirono ad ottenere addirittura un paio di ministri. I partiti sudeti erano legali all’interno del nuovo stato e uno di essi, il Sudetendeutsche Partei, diventò il primo partito in Cecoslovacchia per numero di voti e per poco non prese la magioranza relativa. All’inizio con una politica di stampo conservatore, verso il 1935 si orientò verso una forma di cantonalizzazione della Cecoslovacchia. La svolta avvenne tra il 1936 e il 1937 quando iniziarono i contatti stretti tra il Partito e il Reich, finchè nel 1938, questo divenne lo strumento di cui si servì Hitler per annientare la Cecoslovacchia.
“Dopo la guerra – commenta Leoncini – ci fu l’espulsione dei sudeti (che coinvolse 3 milioni circa di persone ndr.). Una operazione spinta anche da una desiderio di vendetta degli Stati vincitori contro la Germania, cosa che, come abbiamo visto, non era accaduta alla fine della Prima Guerra Mondiale”.
Lo storico italiano non manca di ricordare che “Dopo l’espulsione, i rapporti tra Germania e Cecoslovacchia furono di netta ostilità e indifferenza e si sono poi diversificati solo con l’avvento della Ostpolitik, quando Brandt andò a chiedere scusa a Varsavia per quello che i tedeschi avevano fatto e nel ‘73 si sviluppò un nuovo rapporto tra Cecoslovacchia e Repubblica Federale Tedesca”. In Germania ancora oggi gioca un ruolo forte l‘associazione Sudetendeutsche Landsmannschaft che risiede a Monaco di Baviera e che è presente con una sede anche a Praga. “Dopo l’espulsione, – continua Leoncini- molti sudeti si trasferirono in Baviera e Monaco si trasformò da città agricola quale era, in una città industriale dove i Sudeti costituirono una lobby forte che condizionò il governo di Bonn. Per quanto riguarda i rapporti attuali tra i due paesi, dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania, bisogna dire che i cechi si sentono in qualche modo circondati dal mondo tedesco e quindi c’è un porblema prettamente psicologico. La Boemia è come un cuneo tra Austria e Germania, e c’è ancora un senso di timore, un complesso di subalternità nei confronti di questo vicino che incombe, il cui potere economico oggi è forte in Repubblica Ceca”.

Di Mauro Ruggiero