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Editori, scrittori e semplici lettori infuriati contro la decisione del governo di aumentare l’Iva sui prodotti editoriali. Anche Vaclav Havel fra i 150 mila firmatari della petizione dio protesta. Malcontento anche fra politici della maggioranza: “Che paradosso: durante il comunismo eravamo un popolo di lettori. Ora in democrazia ci vogliono trasformare in un popolo di primitivi”

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Il progressivo aumento dell’Iva sui libri, appena avviato in Repubblica ceca, ha tutte le sembianze di una mortificazione della lettura e della cultura. Eppure, nonostante le polemiche e le proteste, il governo di centrodestra, guidato dal conservatore Petr Necas (Ods), non vuole sentire ragioni. L’intenzione dell’esecutivo, da realizzare entro il 2013, è di applicare ai prodotti editoriali un’Iva del 17,5% al posto dell’attuale 10% (con una tappa intermedia del 14,5% nel 2012). Il tutto nel quadro di una più ampia riforma nell’ambito della legge sull’Iva.
“Questo significa destinare a una morte lenta il nostro settore” dicono gli editori, i quali sottolineano come la Repubblica ceca, con questa decisione, sta intraprendendo una strada diametralmente opposta a quella della maggior parte dei paesi europei, dove sui libri è prevista un’aliquota Iva compresa decisamente meno elevata. E’ così in Lussemburgo (3%), in Italia e Spagna (4%), in Ungheria, Cipro Malta, Polonia (5%). Non parliamo poi di Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia e persino Croazia, che in Ue ci deve ancora entrare, dove sui libri non è prevista alcuna imposta sul valore aggiunto. La Repubblica ceca segue invece altri modelli: la Bulgaria, l’Albania, l’Ucraina e la Bielorussia, tutti paesi nei quali l’aliquota è del 20%.

Tutto questo perché? Quanto ci guadagna effettivamente il bilancio dello Stato? Il mercato dei libri in Repubblica Ceca rappresenta un fatturato annuale di otto miliardi di corone, quindi da questo rincaro le casse pubbliche giungeranno a ricavare più o meno 720 milioni. Ci sarà però anche un concomitante calo degli utili delle case editrici, che quindi pagheranno imposte sui redditi meno elevate. Una parte dei dipendenti perderanno prevedibilmente il lavoro. Ad autori e traduttori verranno ridotti gli onorari, così come l’industria tipografica perderà una parte consistente degli ordini. In definitiva, l’effetto sul bilancio sarà probabilmente pari a zero.
Per ironia del destino, il governo ha deciso di procedere incurante delle proteste lo scorso marzo. Nell’ex Cecoslovacchia proprio marzo era celebrato come il Mese del libro. Allora, nonostante l’inevitabile connotazione ideologica del potere comunista, la tradizione della festa del libro si era ben radicata tra i cechi, da sempre considerati lettori appassionati. Chi l’avrebbe detto che, poco più di venti anni dopo la fine del regime, proprio marzo sarebbe diventato un mese sciagurato non solo per editori e librai, ma soprattutto per i tanti cechi che da sempre considerano il libro l’amico migliore.
Chiunque abbia degli amici di questo Paese sa bene qual è l’importanza nelle case della biblioteca, anche negli appartamenti della gente comune e soprattutto fra la generazione di chi ha superato i cinquant’anni di età. E non certo come oggetto di arredamento. Spesso spiccano negli scaffali domestici i libri degli anni Sessanta, un periodo di minore rigidità del regime durante il quale, sino all’apice della Primavera di Praga, vennero pubblicati una miriade di nuovi titoli. Libri quelli che acquisirono valore soprattutto nel periodo successivo – quello della normalizzazione negli anni Settanta e Ottanta – quando invece la censura tornò a diventare molto rigida. E’ un fatto però che durante il regime non era solo per le banane che si faceva coda. Ogni giovedì, giornata nella quale uscivano le novità editoriali, davanti ad ogni libreria si formavano file incredibili. La lettura era considerata una scappatoia dalla realtà comunista, un modo di evadere, di andare alla scoperta di un mondo ideale. Poi c’erano le opere degli scrittori considerati ostili al regime, che venivano pubblicati tramite „samizdat“ (la diffusione clandestina di scritti illegali perché censurati dalle autorità).
„Sono stati anche questi sviluppi storici a radicare il valore dei libri fra i cechi, soprattutto fra le generazioni meno giovani. A non considerarli semplice merce di consumo” è il commento di Jiri Travnicek, studioso ed esperto di letteratura dell’Accademia delle Scienze della Repubblica ceca.
Le statistiche dicono che oggi il 46% dei cechi compra almeno 1 libro all’anno, che ciascun cittadino legge mediamente 17 libri all’anno, che il 38% si reca almeno una volta all´anno in una biblioteca pubblica, che il 67% dei cechi non riesce a immaginare di dover leggere i libri solo su internet o in formato elettronico.
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Per cercare di far cambiare idea al governo le proteste sono state sinora notevoli. E’ stata organizzata anche una petizione, che da marzo, in poco più di due mesi, è stata firmata da circa 150 mila persone. Fra gli aderenti editori, giornalisti, scrittori, insegnanti, ma anche semplici lettori. L’ex presidente, dissidente e drammaturgo Vaclav Havel, il quale ha sottolineato come il problema non è solo quello del rincaro dei libri, ma anche del sempre minor numero di opere letterarie di qualità sul mercato ceco.
Alcuni sostengono che questa diventerà la terza maggiore catastrofe nella storia della editoria ceca moderna. La prima fu l’introduzione della censura dopo l’avvento della dittatura comunista. Poi, durante la normalizzazione degli anni Settanta, giunse la progressiva eliminazione di tanti scrittori vietati e perseguitati.
Ora, poco più di venti anni dopo la fine della dittatura, questa nuova sciagura. Con la differenza però che questa volta a perpetrarla è un governo di estrazione democratica. Gli osservatori concordano nel ritenere che dagli scaffali delle librerie andranno diradandosi i titoli a basso costo, le traduzioni di qualità, i volumi monografici e la saggistica sull’arte e quella scientifica, insomma tutto ciò che non porterà l’utile ritenuto necessario. L’editore ed economista Alexander Tomsky prevede che saranno esposte al rischio del fallimento la metà delle case editrici e dei librai.
Da questo punto di vista, un primo campanello di allarme lo si è avuto con il caso de “La Casa del libro Kanzelsberger”, in Piazza San Venceslao, che nei mesi scorsi ha chiuso bottega, con la prospettiva, per risparmiare, di riprendere l’attività ancora nel centro di Praga, ma in spazi più modesti.
A preoccupare è anche l’effetto indiretto nei confronti delle giovani generazioni, che già ora mostrano segnali di scarsa dimestichezza con i libri. „I ragazzi cechi stanno perdendo l’abitudine alla lettura e andando avanti di questo passo sarà sempre peggio. Rischiamo di fare instupidire l’intera nazione” è il grido d’allarme lanciato da Vladimir Pistorius, presidente dello Svaz českých knihkupců a nakladatelů (Sckn, l’Associazione ceca dei librai e delle case editrici).
Gli fa eco Jiri Fraus, proprietario di una compagnia editrice specializzata nella produzione di testi destinati alle scuole, il quale sottolinea che negli ultimi anni i sussidi statali ai libri di testo e ai manuali scolastici sono calati di oltre il 50%. Il risultato è che gli studenti delle scuole medie superiori usano manuali ormai datati (mediamente di 14 anni) e non più adeguati ai loro bisogni. Un segnale quest’ultimo recepito anche dal ministro dell’Educazione, Josef Dobes, uno dei pochi all’interno dell’esecutivo a manifestare perplessità, come il ministro della Cultura Jiri Besser.
Significative anche le parole del deputato Petr Gazdík, altro esponente della maggioranza, che in questo ambito ha preferito assumere la parte del dissidente: “La capacità di esprimersi dei nostri giovani è in calo vertiginoso. Sono abituati ad esprimersi con testi mediamente di 160 caratteri, la lunghezza standard di un sms, e il loro lessico diventa sempre più ridotto. Aumentare l’Iva sui libri è il modo migliore per far diventare il nostro Paese una semplice catena di montaggio in Europa”.

Di Iveta Kasalická