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Karel Roden brilla nel film biografico sul diplomatico, figlio del fondatore della Cecoslovacchia. Ma l’abbondanza di elementi fittizi fa infuriare gli storici

Per le terre ceche e slovacche – che hanno vissuto un secolo a dir poco rocambolesco, tra nascita della nazione, occupazione nazista, quarant’anni di comunismo e la rivoluzione di velluto – è abbastanza comprensibile che le giravolte della storia siano sempre di grande interesse per il cinema nazionale.

Uno dei pochi elementi ricorrenti del cinema ceco e slovacco è proprio la popolarità dei film storici. Basta evidenziare quanti film cechi di grande successo nel periodo post-comunista siano stati ambientati durante la seconda guerra mondiale, come Musíme si pomáhat (2000), Želary (2003) o Pouta (2009). I primi due sono anche gli ultimi film cechi nominati per l’Oscar al miglior film straniero, e si potrebbe a buon diritto affermare che il cinema dalla rivoluzione di velluto in poi sia stato un veicolo d’espressione dei sentimenti del popolo verso il proprio passato.

Tale tendenza non mostra segni di cambiamento ed il film ceco dell’anno, Masaryk, del regista praghese Julius Ševčík, ha avuto un successo senza precedenti in patria, dove ha vinto ben dodici Český lev, cioè dodici “Leoni cechi”, gli equivalenti nazionali dei premi Oscar, spazzando via la concorrenza.

Tuttavia, sebbene al top del gradimento anche presso il pubblico, la pellicola ha suscitato polemiche per le inesattezze storiche e addirittura una trama secondaria completamente inventata. In breve, è veramente meritevole dell’acclamazione ricevuta, o si tratta di un film mediocre in un periodo particolarmente arido per il cinema ceco?

Forse la prima sorpresa per chi sia interessato a sapere di più sul film di Ševčík è proprio il soggetto. Il titolo, un cognome certo illustre, potrebbe indurre molti a pensare che si tratti di un “biopic” sul fondatore e primo presidente della Cecoslovacchia, Tomáš Garrigue Masaryk (1850-1937), mentre invece ripercorre gli anni più difficili della vita di suo figlio Jan, diplomatico e politico cecoslovacco della prima metà del XX secolo, ma decisamente meno conosciuto del padre.

Non sono in pochi quelli che hanno posto la domanda: perché Jan? In più, curiosamente, gli eventi che portarono al Patto di Monaco furono in passato già raccontati nel film Dny Zrady (Giorni di tradimento; 1973), opera del Re del film storico ceco, Otakar Vávra, nel quale la figura di Jan Masaryk appariva ben di rado. Meno discussa invece è la scelta di Karel Roden nel ruolo del protagonista. L’attore di České Budějovice (classe ‘62), è indubbiamente l’attore ceco più conosciuto a livello internazionale, ormai noto anche al pubblico americano per i suoi ruoli in produzioni hollywoodiane, spesso nei panni di criminali russi. Il pubblico italiano, invece, potrebbe ricordarsi delle apparizioni frequenti dell’attore nelle miniserie di genere fantastico degli anni ‘90 come Fantaghirò e Desideria e l’anello del drago, entrambe coproduzioni italo-ceche girate in Repubblica Ceca.

Con questo terzo lungometraggio, Ševčík tenta di creare un’opera coinvolgente dal punto di vista strettamente cinematografico, mischiando fatti storici con elementi fittizi, alternando tra il 1937, quando Masaryk aveva il posto di ambasciatore cecoslovacco a Londra, e il 1938, nel New Jersey, all’indomani della conferenza di Monaco – che portò all’annessione di vasti territori della Cecoslovacchia al Reich tedesco.

Masaryk viene ritratto come un uomo sensibile, che lotta continuamente con i fantasmi personali, che soffre di una vita all’ombra del padre, ma anche come un patriota che, forse, non riesce a ricevere il dovuto rispetto a causa di uno stile di vita piuttosto bohémien. Nonostante la reputazione di donnaiolo non sia una novità per la sua figura, faranno comunque discutere le numerose scene d’amore e il ritratto di un dongiovanni pronto a sedurre donne ovunque andasse. Detto ciò, Roden riesce almeno a catturare l’essenza dell’uomo ed il tormento interno di chi crede di non aver fatto abbastanza per proteggere la sua patria ed i suoi concittadini. La base di tensione nel film si trova nelle scene che precedono la già citata conferenza di Monaco, in cui Masaryk discute le possibili strategie per cambiare la sorte del suo paese con Edvard Beneš (interpretato da Oldřich Kaiser), e gli scontri con il Primo Ministro del Regno Unito, Neville Chamberlain – cui spesso vengono attribuite le responsabilità degli infausti trattati. Curiosamente, secondo quanto riportato dal sito giornalistico Novinky.cz, il ruolo di Chamberlain è stato rifiutato dal leggendario attore inglese Jeremy Irons proprio perché “non voleva interpretare un vigliacco del genere”.

Sebbene il regista meriti di esser lodato per la rielaborazione dei maggiori avvenimenti storici che segnarono il destino dell’Europa, la trama secondaria del film funziona, invece, decisamente meno. Ad oggi si sa poco o nulla del periodo che Masaryk trascorse negli Stati Uniti. Ševčík ci presenta uno scenario nel quale il politico praghese cerca soccorso in un ospedale psichiatrico gestito da un dottore, anch’egli rifugiatosi nel Nuovo mondo, in fuga dalla Germania per scappare dalla persecuzione nazista. Le scene nell’istituto in cui Masaryk lotta contro i suoi demoni, afflitto e colpito dal destino tragico del suo paese, tendono a sminuire la forza drammatica del film invece di potenziarla, a volte portandolo ai limiti di un’imitazione di Shutter Island (2010) di Martin Scorsese – e di una qualità ben inferiore. Il cineasta e i suoi collaboratori hanno deciso di prendersi la pesante libertà di riscrivere la storia e, di conseguenza, il film è stato duramente criticato da storiografi e storici.

Tutto sommato, anche con i problemi di narrativa e veridicità, Masaryk vale il prezzo del biglietto e Karel Roden si conferma uno dei pochissimi attori cechi con il carisma e la presenza necessaria per capeggiare cast di ambiziose produzioni internazionali. Faranno discutere le inesattezze storiche e l’omissione della scena della tanto discussa morte del diplomatico, il 10 marzo 1948 – inizialmente considerata un suicidio, l’ipotesi è stata abbandonata ultimamente a favore di quella di un omicidio, forse commesso dal nuovo regime dell’epoca.

Al di là delle polemiche, Masaryk possiede il senso dell’epico presente, oggi, in pochi altri lavori dei suoi connazionali; una pellicola discontinua ma sufficientemente avvincente. Non ha le doti per rivaleggiare con i migliori film storici cechi del passato, eppure il risultato non ha niente a che vedere con il catastrofico biopic sulla vita di Lída Baarová dell’anno scorso. L’opera conferma che in un’epoca in cui si vedono poche idee originali nel cinema nazionale, la Storia rimane, nel bene e nel male, la migliore fonte d’ispirazione.

di Lawrence Formisano