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L’inizio di marzo di quest’anno è stato alquanto movimentato dal punto di vista della quantificazione e della valutazione degli investimenti in Repubblica Ceca, anche in prospettiva futura. Le domande che vengono poste sono queste: che tipo di attrattività offre la Repubblica Ceca agli investitori? Quale tendenza futura si prospetta? Come possono incidere in tutto questo le future politiche pubbliche di sostegno agli investimenti? Il dibattito è cominciato quando l’Ufficio statistico ceco (Čsú) ha annunciato un’imminente rivalutazione al ribasso della bilancia commerciale ceca. Il Čsú si apprestava infatti a sottrarre 146 miliardi di corone, perché computati in base a una metodologia rivelatasi scorretta. In sintesi, se prima la bilancia commerciale includeva i valori di mercato finali della merce prodotta in Repubblica Ceca per conto di società controllanti estere, d’ora in poi essa avrebbe preso in considerazione soltanto il prezzo della merce pagato alla succursale ceca, escludendo quindi la “crema” del valore aggiunto. Tale rivalutazione è stata interpretata da un articolo pubblicato sul quotidiano economico Hospodářské noviny come il segnale che la Repubblica Ceca rimane ancora una semplice officina di montaggio a basso costo, un’etichetta appiccicata al paese soprattutto nel decennio scorso da coloro che criticavano le politiche del governo ceco di sostegno agli investimenti. Ma è davvero così, o merita invece la Repubblica Ceca una qualificazione più lusinghiera? Altri segnali sembrano indicare, in relazione all‘attrattività del paese per gli investitori, che l’ago della bilancia si stia spostando dal ramo meramente manifatturiero verso la ricerca, lo sviluppo e il conferimento di valore aggiunto.

I dati ufficiali a disposizione non sono del tutto univoci. Se prendiamo in considerazione le cifre sugli investimenti mediati dall’agenzia governativa CzechInvest, risulta che dei 682 miliardi di corone investiti tra il 1993 e il 2010, appena 16 miliardi sono andati nella ricerca e sviluppo (cioè il 2,3%), mentre 641 miliardi sono andati nella produzione. I dati dell’Ufficio statistico usano criteri diversi e includono altri investimenti, eppure anch’essi paiono indicare un’immagine da officina di montaggio: tra il 1995 e il 2005 la quota maggiore degli investimenti è stata sempre rappresentata dall’industria manifatturiera, con – complessivamente – il 24% dei sette mila miliardi e più di corone investiti. La ricerca e sviluppo è inclusa nella seconda categoria in ordine, ma visto che questa racchiude anche gli investimenti immobiliari, la quota indicata del 18% non appare significativa. Un’altra fonte ufficiale sugli investimenti in Repubblica Ceca è la Banca nazionale (Čnb). Secondo i dati di quest’ultima, il 32% degli investimenti diretti esteri nel 2009 è stato indirizzato all’industria manifatturiera, mentre alla ricerca e allo sviluppo è andato solo lo 0,06%. Per quanto riguarda la più ampia categoria di “attività professionali, scientifiche e tecnologiche” – che include, oltre alla voce “ricerca e sviluppo”, anche le attività di consulenza, testing e di pubblicità – si è trattato del 5,9%.

Dati questi presupposti, il ministro dell’industria, Martin Kocourek, è intervenuto promettendo di non limitare più il noto strumento governativo degli incentivi agli investimenti al solo settore manifatturiero, ma di allargarne il campo di applicazione anche ai progetti di ricerca e sviluppo e ai servizi commerciali strategici, come ad es. lo sviluppo di software. Tali incentivi – nel settore manifatturiero applicati con successo – consistono principalmente nella concessione di sconti fiscali (parziali o totali) a nuovi investimenti per cinque anni dal loro avvio, in sussidi per la creazione di nuovi posti di lavoro, e nell’offerta di spazi imprenditoriali a prezzi agevolati. Il ministro ha annunciato il proprio ottimismo sugli sviluppi futuri, basandosi sul dato che nel 2010 i progetti d’investimento nella ricerca e sviluppo mediati da CzechInvest sono stati 65, mentre i progetti di produzione sono stati solo 39. Il significato di tale considerazione è però subito ridotto non appena guardiamo l’ammontare degli investimenti in corone: nella produzione il totale è stato di 14 miliardi, nella ricerca e sviluppo di 1,8 miliardi e nei servizi di 652 milioni. Per quanto riguarda i posti di lavoro creati, il settore produttivo è primo con 5.779, quello dei servizi secondo con 2.715 e quello della ricerca e sviluppo terzo con 929. D’altra parte non è possibile non riconoscere che se tra il 1993 e il 2010 solo il 2,3% degli investimenti agevolati da CzechInvest è andato nella ricerca e sviluppo, nel 2010 tale quota è stata del 13%.

Ma l’allargamento degli incentivi agli investimenti dalla sola manifattura alla ricerca e allo sviluppo non è l’unico strumento con cui la Repubblica Ceca intende diventare meno officina di montaggio e più laboratorio di valore aggiunto. Innanzitutto, come dichiarato dal direttore di CzechInvest, Miroslav Křížek, in un’intervista a Radio Impuls a febbraio, c’è uno spettro di fondi Ue per le imprese che il paese può utilizzare a differenza di un concorrente a livello di innovazione come la Germania, il quale deve attingere a fonti interne di stimolo finanziario per attrarre investitori nella ricerca e sviluppo. Ma soprattutto è attualmente in elaborazione presso il ministero dell’industria un documento, da intitolarsi ambiziosamente “Strategia per la competitività della Repubblica Ceca”, che dovrebbe venire pubblicato a metà anno e in cui verranno delineate politiche specifiche per indirizzare il paese nella direzione ambita. Tale documento parte dalle raccomandazioni del Consiglio economico nazionale del governo (Nerv) e ne sono stati già preannunciati alcuni punti principali. Ad esempio si intende, come già da anni promesso e auspicato, ridurre l’onere amministrativo per l’impresa e passare dalla comunicazione cartacea a quella elettronica. Viene rispolverato il concetto di un fondo di capitale di rischio per nuove imprese, che dovrebbe venire attivato entro metà dell’anno con 1,2 miliardi di corone grazie a fondi statali, dell’Ue e di investitori privati. Da altre raccomandazioni del Nerv nascono inoltre propositi come la premiazione di brevetti di successo, la modificazione del sistema di valutazione degli esiti della ricerca applicata, il miglioramento del quadro legislativo per la cooperazione tra enti di ricerca e ditte private, ed il supporto a programmi universitari nel campo dell’imprenditoria innovativa.

Tale documento è ambizioso ed è il prodotto di un’officina di idee di primo livello, il Nerv, guidata da un economista del calibro del professor Michal Mejstřík, formato alla London School of Economics e co-fondatore dell’istituto Cerge di Praga. Il problema da affrontare è reale, come abbiamo visto, e per garantirsi un futuro più vicino a paesi innovativi come la Germania e più lontano da catene di montaggio asiatiche, il governo ceco dovrà implementare politiche coraggiose di riforma. Di idee e suggerimenti concreti ne ha più che a sufficienza. Ora tutto dipenderà dalla volontà dell’esecutivo di agire e di fare effettivamente la differenza.

Di Michal Kohoutek