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Un premio e una mostra, per l’omaggio di Praga a Vittorio Storaro, il leggendario cinematografo, tre volte premio Oscar. Il maestro illumina l’uditorio della capitale ceca con una lectio magistralis di grande spessore, ma sorprende l’assenza degli studenti della Famu

“Cinematografia secondo me, vuol dire scrivere con luce, scrittura e movimento”. È questa la prima lezione del maestro Vittorio Storaro, il quale ha incantato il pubblico della sala grande della biblioteca della Città di Praga il 2 dicembre 2016, con una lectio magistralis dal titolo “Vittorio Storaro e la cinematografia digitale”, organizzata dalla Fondazione Eleutheria in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura.

Un’ora e mezza di aneddoti, riferimenti culturali e consigli a beneficio soprattutto dei giovani che si avviano a fare questa professione, poi la consegna dalla medaglia d’oro da parte del professor Zdeněk Holý, decano dell’Accademia praghese del cinema, la Famu (Filmová a televizní fakulta akademie múzických umění), al direttore della fotografia, o cinematografo come Storaro preferisce definirsi. Solo i presenti hanno potuto capire sino a che punto l’artista romano fosse contento ed entusiasta della sua visita in Boemia, sebbene non abbia mancato di manifestare delusione per la scarsa presenza di studenti.

Apocalypse Now, Reds, Ultimo tango a Parigi, e L’ultimo imperatore sono fra i capolavori cinematografici che si distinguono per l’uso straordinario di luce e colori nella fotografia di Storaro, cinematografo romano classe 1940, il cui lavoro sui film L’uccello dalle piume di cristallo, di Dario Argento (1970), e poi Il conformista, di Bernardo Bertolucci nello stesso anno, portarono il suo talento alla ribalta.

L’ex allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, considerato uno dei migliori nel suo campo nella storia del cinema mondiale, è sicuramente più conosciuto per aver lavorato in Italia e negli Stati Uniti, e per le sue collaborazioni con Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola e Carlos Saura. Tuttavia, il suo rapporto con Praga non inizia solo adesso.

Nel 2000 venne infatti scelto come cinematographer per Dune – Il destino dell’universo (Frank Herbert’s Dune), opera tratta da un classico dei romanzi di fantascienza, Dune, scritto da Frank Herbert nel 1965. La miniserie, una coproduzione internazionale con un cast di celebri attori del calibro di William Hurt e Giancarlo Giannini, fu girata quasi interamente a Praga, spesso all’interno di studi insonorizzati.

Possiamo senz’altro dire che Dune, e quindi quella parentesi di lavoro a Praga, rappresenta una esperienza particolarmente significativa nella carriera di Storaro per vari motivi. In primo luogo, perché gli valse il premio Emmy per miglior fotografia ed effetti speciali in una miniserie, con forti colori che sottolineavano o contrapponevano i vari momenti del film e i diversi personaggi. In più ebbe la possibilità di lavorare con una troupe ceca di altissimo livello, nella quale spiccava la figura illustre di Theodor Pištěk, il leggendario costumista premio Oscar per Amadeus con Miloš Forman.

L’arrivo a Praga per quel progetto partì peraltro da lontano. Alla fine degli anni ‘70, quando aveva appena finito le riprese di Novecento con Bernardo Bertolucci, Storaro ricevette una visita da Alejandro Jodorowsky, il genio anarchico cileno. Questi gli propose di fare la fotografia del suo adattamento di Dune, sottolineando che sarebbe diventato il film più grande ed ambizioso mai realizzato. In quello stesso periodo il cinematografo romano era stato però contattato da Francis Ford Coppola per girare Apocalypse Now.

Storaro era un fan del libro, e sapeva che non avrebbe potuto trovare di meglio del fantastico mondo di Herbert per mettere a punto le sue sperimentazioni con luce e colori. Tuttavia, decise alla fine di accettare il secondo incarico, propostogli da Coppola, tra l’altro senza ancora saper parlare l’inglese.

La sua scelta, nonostante i dubbi iniziali, si rivelò vincente. Il romano vinse il suo primo Oscar per la fotografia del film bellico di Coppola, che gli aprì nuove porte, mentre dopo anni di programmazione il progetto di Jodorowsky fu cancellato poco prima dell’inizio delle riprese a causa dei costi elevatissimi. Per Storaro l’opportunità di portare la sua visione di Herbert sullo schermo sarebbe arrivata circa venti anni dopo; e proprio a Praga.

Il ritorno oggi del Maestro nella “Città d’oro” è importante per vari motivi. Negli ultimi anni egli si è dimostrato particolarmente preoccupato per il futuro della sua professione, soprattutto nell’era delle cinecamere digitali, in quanto secondo lui i cineasti oggigiorno hanno la tendenza ad usarle solo per dimostrare di poter lavorare più velocemente, o di poter essere meno condizionati dalla luce. Storaro ha spesso ripetuto che chi lavora in tal modo sta meramente registrando un’immagine, ben lontano dalla vera cinematografia. Si è compreso sin dai primi minuti della sua lectio magistralis che aveva l’intenzione di ribadire questi concetti al pubblico. “I giovani di oggi nel mio campo sembrano contenti di usare la luce disponibile sul set ma non pensano nemmeno di modificare l’immagine”, ha precisato. Parole preziose, che si possono trovare anche nel suo libro “Scrivere con la luce”, che Storaro definisce il progetto di una vita.

Il contenuto della sua lectio è parso una sintesi dei temi del libro, ma sfruttando in aggiunta le sue notevoli qualità nell’arte di parlare e di argomentare davanti a una platea.

Per illustrare i suoi concetti ha mostrato anche una sequenza di foto e quadri al pubblico, sottolineando come nella sua professione si debba conoscere non solo la tecnica cinematografica, ma anche studiare tutto ciò che ha preceduto il cinema, interessarsi a filosofi, pittori e scienziati di tutto il mondo.

La sua visita a Praga ha avuto anche un altro tipo di motivazioni. Oltre a ricevere la già menzionata medaglia, per la quale si è detto commosso nonostante la sua abitudine alle premiazioni, Storaro è apparso anche bramoso di conoscere la nuova generazione della scuola ceca, della quale si è dichiarato un grande estimatore da sempre, spesso facendo riferimento all’alma mater Famu e allo storico cinematografo Miroslav Ondříček.

Anche per questo il Maestro italiano non ha esitato a dirsi rammaricato per la poca presenza in sala di studenti della Famu, ragazzi ai quali avrebbe voluto esprimere il proprio pensiero e magari confrontarsi.

D’altronde, non è probabilmente un caso che a Praga si parli da tempo di una Famu con meno cinefili ed appassionati di cinema. Per Storaro si tratta, tuttavia, di un problema generale e ha raccontato di aver visitato scuole cinematografiche di altri paesi dove “gli studenti dicevano di non aver mai sentito il nome di Bernardo Bertolucci”.

Peccato, perché i presenti sono rimasti affascinati dalle parole di un artista di straordinaria erudizione, trattenendosi ad assistere alla proiezione dell’ultima pellicola alla quale Storaro ha lavorato, il Café Society di Woody Allen, primo film del regista newyorchese girato in digitale. Storaro tra l’altro sta attualmente girando proprio con Allen un secondo film.

L’ultima cartolina praghese per il Maestro è arrivata dal palazzo Clam-Gallas, dove si è svolto il finissage della mostra “Civiltà Romana”, una rassegna interamente dedicata alle fotografie di Vittorio Storaro. Si è trattato del culmine di un progetto che ha avuto inizio alla fine degli anni ‘80, quando Storaro ha viaggiato in Italia, Siria, Turchia, Grecia e in altri paesi che facevano parte dell’Impero romano, per documentarne le rovine e quindi preservarne l’antica magnificenza per le generazioni future.

Anche queste sono tra le tante e meravigliose immagini, impresse sulla pellicola da Vittorio Storaro.

di Lawrence Formisano