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Intervista a Sergio Corduas, considerato il massimo esperto di boemistica in Italia, traduttore e docente di Lingua e Letteratura ceca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Professore, come è nata questa sua passione per la lingua ceca e la cultura di questo Paese.

È nata perché ho letto un libro, sul quale poi ho fatto la tesi, che mi ha fatto innamorare di questa lingua benché fossi iscritto a russo. Mi ero iscritto a russo perché fin da ragazzo, a 14 anni, avevo letto Dostoevskij e Gogol’. Poi ho scoperto che all’università era obbligatoria una seconda lingua slava e che il professore di letteratura russa, Angelo Maria Ripellino, che ci affascinava tutti, faceva anche lingua e letteratura ceca, e quindi ho scelto come seconda lingua obbligatoria il ceco perché c’era Ripellino.

Non solo per la lingua in sè quindi?

No, ancora no, poi però ho preso una fatale borsa di studio estiva per Praga e mi sono assolutamente innamorato della città; parlo del 1964, secoli fa, della lingua e di un libro che intanto ho letto, cioè lo Švejk, sul quale ho deciso di fare anche la tesi. Tornato a Roma, sono andato da Ripellino e gli ho detto che avrei voluto invertire e avere il ceco come lingua principale e l a risposta fu: “Caro Sergio, non si può! Ma vuol dire che la manderemo in borsa di studio a Praga”. Così facemmo e io, dal secondo anno in poi, sono stato in borsa di studio sempre a Praga. Ricordo che per poter fare la tesi di laurea, quelle di una volta, quelle vere, su un argomento di letteratura ceca, ci volle un permesso speciale della presidenza della facoltà.

Eppure il ceco è una lingua che per molti italiani residenti a Praga continua ad essere uno scoglio insormontabile. E’ davvero così difficile?

No, non è affatto vero che sia difficile, sono loro che non si curano di impararla, mi dispiace ma hanno completamente torto.

Che consiglio darebbe per farla piacere un po’ di più, ed impararla più facilmente?

Bisogna svegliare la mente delle persone e non è facile, sono pregiudizi sciocchi, la verità è che se un italiano studia il ceco e se ha un minimo di talento linguistico in generale, quando la impara, la impara molto bene, molto meglio dei francesi o degli inglesi.

Gli italiani e la letteratura ceca: cosa è cambiato negli ultimi 20 anni, vale a dire dopo la caduta del muro e la rivoluzione di velluto, gli autori cechi sono più letti? E se sì perché?

Gli autori cechi sono più letti perché si traduce di più rispetto a 20 anni fa; il problema è, chi traduce, come traduce, ma anche molto per quale editore, perché se un editore piccolo traduce un autore ceco non di primissima categoria, fa comunque una cosa utile, ma quel libro poi non sarà letto, non avrà un successo di mercato e non avrà recensioni.
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Qual è un autore ancora non tradotto che secondo Lei varrebbe la pena tradurre, o che le piacerebbe tradurre?

Karolina Světlá, se parliamo dell’800, che naturalmente nessun editore accetterebbe. Ma io piuttosto parlerei del fatto che ci sono alcuni grandi nomi della letteratura ceca che furono tradotti in italiano, ma sono introvabili come ad esempio Karel Hynek Mácha, il Maggio. Chi lo trova il Maggio di Mácha tradotto da Ettore Lo Gatto negli Anni ’50?

Ma allora perché non lo propone Lei ad un editore, visto che comunque è un’ autorità in materia?

Io l’ho fatto, ma la risposta è sempre la stessa, ovvero, che la poesia non si vende.
E poi io sono particolarmente esigente, io dico che se bisogna fare il Maggio di nuovo, come bisogna, bisogna farlo così: testo ceco a fronte, e già lì l’editore nicchia, traduzione in verso libero e traduzione in rima. E trovami l’editore che lo fa! Una casa editrice creata da miei ex studenti, la Poldi Libri, ha tradotto negli ultimi anni quattro grandi scrittori cechi che gli italiani non conoscevano e che gli stessi cechi frequentano poco perchè scrittori un po’ di élite. Vale a dire: Jiří Kolář, poeta, vale a dire Jakub Deml, Richard Weiner e Josef Čapek. Un’altra che andrebbe ritradotta sarebbe la Němcová, Babička è assolutamente introvabile.

Professore, cambiando argomento, Lei ha detto di essere stato qui per la prima volta nel ’64, quindi di cose ne sono cambiate… Mi permetta la domanda, anche se retorica, ma com’è cambiata Praga e cosa rimpiange di quell’epoca?

Di quell’epoca io rimpiango forse la solidarietà che c’era tra la gente dovuta al risvolto positivo delle dittature, insomma, dei regimi forti. I regimi forti hanno questo vantaggio: che rendono molto solidali tra loro le persone che opprimono. C’è ancora abbastanza qua e là, ma naturalmente si va perdendo in questo “egoismoconsumismo”… Poi c’è il problema della cosidetta globalizzazione, per cui non è più la Praga di prima, questo è sicuro. Però attenzione ad una cosa, non c’è solo Praga, se Lei va, come sarà stato suppongo, a Brno e sta una settimana a Brno, scopre che ci sono ancora città umane. Praga è sempre stata nevrotica, anche prima della caduta del muro, è una città nevrotica questa, però allora era comunque una nevrosi “troppo umana”, tanto per citare qualcuno. E adesso, adesso è… troppo… mi viene da dire una parolaccia che non si dice… è un po’ troppo sputtanata, ecco. Troppo “vypucovaná” come si dice in ceco. Che ci siano i buttafuori e i buttadentro non è degno di Praga.

Quali sono invece oggi gli aspetti positivi della città?

Quello che per fortuna mi conforta è l’atteggiamento di buona parte della gioventù universitaria che è ancora quello di reale interesse per le cose, sono ancora veri ‘sti ragazzi. È vero che non sanno nulla dell’89 ormai, nulla del ’68, ma questa però è colpa dei genitori e non è un fenomeno solo ceco; anche da noi, quanto sappiamo del fascismo per esempio?

Ritornando all’orticello di casa, qual è la situazione attuale della boemistica in Italia?

Dunque, se per boemistica si intende un insieme di alcune persone sparse fra alcune università che studiano le cose ceche, in qualche modo organizzato, coerente, che portano cioè avanti un discorso complessivo, allora in questo senso la boemistica italiana non c’è! Se per boemistica si intende invece la politica editoriale delle case editrici, andiamo molto meglio per le ragioni che dicevo prima. Si pubblica molto di più, però un appunto lo farei, che è questo: quando uno pubblica un libro che non è strettamente necessario al contesto italiano, toglie spazio ad un libro che magari invece è strettamente necessario a quel contesto e che però non troverà spazio.