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Miloš Zeman ama la bagarre politica. Ma fomentare pregiudizi e superficialità sui cittadini di origini rom ha ricadute pesanti sul tessuto sociale del paese. Nel momento in cui una minoranza etnica è demonizzata a tal punto, la discriminazione diventa inevitabile. Quando il vertice dello Stato parla con tale superficialità, apre la via al resto della società

Kojetín, 25 settembre 2018. Un villaggio nella regione di Olomouc, in Moravia. Miloš Zeman, Presidente della Repubblica Ceca, a pochi centimetri da un microfono e pochi metri da un pubblico che non gli nega sorrisi e applausi, tuona con condiscendenza “Sappiamo benissimo da chi è composto quel 5% di disoccupati nella regione…”. A buon intenditor poche parole: il politico esperto, la vecchia volpe, ammiccante, lascia che i pregiudizi corrano col pilota automatico. Zeman mette le mani avanti, di certo non è un fan del periodo comunista, dice, ma “quando c’erano loro”, i rom erano costretti a lavorare. E se non lavoravano, i loro superiori davano loro due schiaffi e li rimettevano in riga. “Un sistema molto umano ed efficace che funzionava quasi sempre”, sottolinea il presidente tra i sorrisi di Ladislav Okleštěk, il governatore della regione di Olomouc, e Jiří Šírek, il sindaco di Kojetín.

La più alta carica dello Stato ceco non è nuova a simili provocazioni; d’altra parte, pochi possono vantare la sua capacità politica di catturare umori popolari e giocare sul filo del politically correct per il proprio tornaconto. A novembre 2017, tramite il programma televisivo “La settimana con il Presidente”, Zeman affermava “il 90% dei cittadini disadattati (letteralmente, “nepřizpůsobivých občanů”) in questo paese è fatto da gitani, e il restante 10% da bianchi sbandati” e sulle stesse frequenze, due mesi prima, si opponeva alla chiusura di un allevamento di maiali a Lety u Písku, sul sito dove sorgeva un campo di concentramento nazista per rom e sinti, esagerando volutamente i costi dell’operazione.

C’è però chi pensa che questa volta si sia spinto troppo oltre. L’intervento a Kojetín ha creato un piccolo caso, prese di distanza e critiche – per lo più sui social network – da diversi politici nazionali di buona parte dello spettro politico. Dall’ex primo ministro Ods Mirek Topolánek, che chiede “chi ti ha dato il diritto di insultarli così?”, al senatore socialdemocratico Jiří Dienstbier, che chiosa “l’odio può strozzarti, ma non ti dà da mangiare”. E poi Miroslav Kalousek, segretario del Top 09, che definisce le parole di Zeman “odiose ed inaccettabili”, e così via una lunga lista di prese di posizioni – conservatori, cristiano-democratici, comunisti – in cui mancano però nomi di punta di altri due partiti che amano stuzzicare “la pancia del paese”, Ano del premier Andrej Babiš e l’estrema destra dell’Spd di Tomio Okamura.

Alle critiche si è aggiunta la prevedibile protesta delle associazioni nazionali della comunità rom, ma anche interventi dall’estero, tra tutti una lettera aperta di condanna delle parole discriminatorie firmata dallo European Roma Rights Centre. Zeman non è parso darci troppa importanza. Il 5 ottobre 2018, intervistato dopo le elezioni amministrative, è tornato alla carica, ammiccante, con un “apprezzo i rom che lavorano; purtroppo sono solo il 10%”. Il tutto lasciando piuttosto interdetto l’intervistatore, Richard Samko, giornalista della Česká Televize e, ironia della sorte, di origini romanì.

Il malcelato antiziganismo del presidente pare grottesco, tuttavia una domanda non può che farsi strada, cinicamente: e se avesse ragione? Se la pungente e fastidiosa boria del presidente non foss’altro che una spigolosa verità? Soffermiamoci sui numeri: Monika Mihaličková, dell’organizzazione Romea, è stata la prima a confutarli apertamente. Secondo le ultime stime riportate dall’organizzazione, circa il 70% della popolazione rom nel paese è attiva lavorativamente. Le esagerazioni di Zeman sono state dismesse come ben lontane dalla verità anche dal sociologo dell’Università Carolina Daniel Prokop, intervistato per il portale Lidovky.cz. “Metà della popolazione di origine rom nel paese vive certo in situazioni di difficoltà, in cui il tasso di disoccupazione è più alto della media nazionale; tuttavia un rapporto 90% – 10% tra disoccupati e occupati, come affermato da Miloš Zeman, è sicuramente fuori discussione”. Non essendoci dati ufficiali, anche Prokop stima la disoccupazione tra i membri della comunità in una forbice (piuttosto ampia) tra il 25% ed il 40%, tentando di includere anche il sommerso.

Le affermazioni del presidente paiono grottesche perché, semplicemente, lo sono. “Sembrerebbe che le cifre di cui parla il signor Zeman siano completamente campate in aria”, ci risponde Jonathan Lee, responsabile della comunicazione per lo European Roma Rights Centre, “anche perché non sono in nessun documento governativo degli ultimi dieci anni. Sarebbe curioso sapere da dove le ha prese”. Il centro ha sede a Budapest e, spiega Lee, non solo svolge attività di promozione e sensibilizzazione sui diritti dei rom in Europa, ma è molto attivo nel confrontare il razzismo con gli strumenti della legge. In breve, “portiamo i razzisti in tribunale”. Pregiudizi e stereotipi sono odiosi in ogni forma, ma quanto è grave quando affermazioni come le suddette provengono da un capo di Stato?

“I commenti del presidente Zeman dimostrano quanto sia diventato normale il discorso razzista nel paese. Quando il vertice dello Stato usa un discorso d’odio contro i rom, apre la via al resto della società; nel momento in cui una minoranza etnica è demonizzata a tal punto, la discriminazione e ulteriore marginalizzazione diventa inevitabile”. Il discorso, purtroppo, non si ferma solo a Zeman. Il presidente ungherese Viktor Orbán ha parlato dei rom come di una “zavorra storica” con cui il paese deve convivere; lo stesso Matteo Salvini, sottolinea Lee, ha chiesto una conta strada per strada, “piazza by piazza”. Negli ultimi anni la standardizzazione dell’antiziganismo è peggiorata, in special modo nell’area dei Visegrád 4: dal 2014 la Commissione Europea ha lanciato procedure di infrazione contro tre dei quattro paesi del gruppo (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) proprio per la violazione dei diritti delle minoranze rom, ma i paesi non hanno intrapreso politiche per migliorarne le condizioni. Punto critico il settore dell’istruzione, nello specifico la presenza di classi separate per bambini rom nelle scuole elementari. Un rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa (2012) ha dimostrato come il 30% dei bambini rom e sinti siano inseriti in classi speciali rispetto al 2% delle controparti non-rom, portando, di fatto, a pratiche segregative. Su 14 di 19 scuole speciali, la percentuale di bambini rom era almeno del 70%.

“È una conseguenza, e non una coincidenza, che i più emarginati nei paesi europei siano membri di queste comunità”, afferma Lee; “far passare questo messaggio è il punto di partenza per demolire anni di pregiudizi, odio e stereotipi”.

Nella stessa intervista del 5 ottobre, Zeman ha ricordato che all’ultimo censimento in Repubblica Ceca solo 11 mila persone hanno deciso di identificarsi come rom. “Che razza di nazionalità è mai questa se la nazione non è neanche in grado di esporsi, e i suoi membri decidono di descriversi come slovacchi, cechi, ungheresi e quant’altro”, si è chiesto stizzito il presidente. Quando il giornalista Richard Samko gli ha fatto notare che in molti esitano ad autodefinirsi rom proprio per l’esperienza storica di sopraffazione e discriminazione, Zeman ha sminuito il tutto: parliamo di un passato lontano.

Le provocazioni presidenziali hanno dato il via ad una campagna su Twitter e Facebook con membri della comunità romanì di tutto il paese che hanno postato loro foto sul posto di lavoro – campagna rilanciata anche da un deputato dell’Europarlamento, la svedese Soraya Post del Pse, anche lei di origini rom. Ma è bene sottolineare che in tanti, nel paese, continuano ad apprezzare la “scorrettezza” di Zeman. Un rapporto dell’agenzia europea per i diritti fondamentali (Fundamental Rights Agency, Fra) pubblicato ad aprile 2018 mostra ancora dati allarmanti, ad esempio il 55% dei cechi “non vuole un rom come vicino di casa” (dato più alto tra i membri Ue) o il 61% dei rom ha subito casi di discriminazione nella ricerca di lavoro e il 65% nella ricerca di un’abitazione. Gli indici di riferimento sono, purtroppo, tra i peggiori d’Europa. Il risultato è anche questo: il 10% dei cechi è considerato a rischio povertà, ma la percentuale sale al 58% per la comunità romanì nel paese.

A quanto pare, parliamo del presente.

di Giuseppe Picheca