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Si celebra oggi il compleanno di Jan Tomáš Forman, in arte Miloš Forman, il grande regista ceco due volte premio Oscar, senza dubbio uno dei più amati e discussi personaggi della storia del cinema

Nonostante un’infanzia oscurata dall’ombra tragica del Nazismo, che ha segnato la sua esistenza, Forman è considerato un celebratore della vita, della libertà di espressione, dell’individualismo e dell’anticonformismo. In molti credono che la chiave del suo successo sia stata la sua capacità di conservare, nonostante l’emigrazione negli Stati Uniti, l’identità ed i temi dei suoi primi successi cecoslovacchi, gli stessi eroi stravaganti, ingenui ma ribelli. Forman riuscì ad adattarsi al clima politico dell’America degli anni Settanta prima di dedicarsi a personaggi anticonformisti nell’America stessa, come Andy Kaufman o Larry Flynt. Fu dopo l’occupazione russa della Cecoslovacchia nel 1968 che il regista boemo prese la decisione radicale di lasciare il suo paese natale alla volta degli Stati Uniti, che Forman – grande estimatore di Charlie Chaplin, Buster Keaton e John Ford – considerava “il Paese del cinema, come l’Egitto quello delle Piramidi”. Tuttavia, i vari premi ed il successo sia di critica che di pubblico, non impedirono critiche da parte di intellettuali e critici cinematografi per i quali il regista di Amadeus e Qualcuno volò sul nido del cuculo decise di svendersi cambiando un Paese con censura politica per un Paese con un altro tipo di censura, quella commerciale. La domanda è: cosa è rimasto del cinema cecoslovacco nei film americani di Forman?

L’avventura cinematografica del maestro – nato a Čáslav (Boemia centrale) il 18 febbraio del 1932 – inizia nel 1964 con il suo primo lungometraggio Černý Petr (L’asso di picche). Il film vince la Vela d’oro al festival di Locarno, mentre l’anno successivo il secondo lavoro, Lásky jedné plavovlásky (Gli amori di una bionda), viene nominato all’Oscar come miglior film straniero e a Venezia per il Leone d’Oro. Da queste due pellicole si vedono già l’impronta dell’artista e la direzione del suo percorso nel mondo del cinema. Nel primo film egli mette in risalto i problemi delle nuove generazioni del suo paese sotto il socialismo, il quale influenza profondamente le loro scelte e la loro esistenza, mentre il secondo racconta la storia di Andula, una giovane ragazza che cerca l’amore e la fuga dal mondo alienante (rappresentato dal lavoro in fabbrica) ma finisce per scontrarsi con una dura realtà ben differente dai suoi sogni. Il personaggio di Andula è il primo vero eroe di Forman e dimostra lo spirito libero ma anche l’ingenuità dei protagonisti delle sue opere americane, come l’ormai famosissimo Randle McMurphy, interpretato da Jack Nicholson nel capolavoro Qualcuno volò sul nido del cuculo. Comunque, fu il film seguente che lo identificò come uno dei registi più importanti d’Europa, nonché uno dei più polemici: Hoří, má panenko (Fuoco, ragazza mia), del 1967, l’ultimo film cecoslovacco di Forman. È ambientato in una cittadina boema dove i pompieri organizzano un ballo in cui tutto va storto: qualcuno ruba il premio della lotteria, il concorso di bellezza fa fiasco, per finire con un incendio che conclude la serata. Forman ha spesso asserito che il film, una co-produzione italiana, è semplicemente una satira dei costumi di provincia e che non c’è né simbolismo nascosto né un significato politico, ma la censura e soprattutto il presidente Antonín Novotný capirono che il furbo regista mirava più in alto e il film fu conseguentemente proibito. La polemica generata dalla pellicola fu tale che venne abbandonata dopo le riprese anche dal produttore italiano, il leggendario Carlo Ponti, costringendo il cineasta boemo a rivolgersi a produttori francesi.

La censura, giunta come reazione al capolavoro di Forman, indica che la sua scelta di cambiare paese era scontata. Ciò nonostante, non sono in pochi a sostenere che questi primi film cecoslovacchi del regista, in effetti, contengano più sostanza e si distinguano per la loro complessità, poiché la censura costringeva i registi a realizzare lavori più criptici e ricchi di sfumature. Slavoj Žižek, il popolare filosofo e critico culturale, appartiene a questo gruppo. Žižek ha precisato varie volte che pur non avendo nostalgia del regime comunista, le condizioni in esso crearono opere d’arte più autentiche. Egli inoltre sottolinea che a suo dire sia Forman che il regista polacco Krzysztof Kieślowski abbiano realizzato film più interessanti nei loro paesi natali che nei loro paesi d’adozione (Francia nel caso di Kieślowski). Tuttavia, Žižek ha dichiarato anche il suo amore per la prima pellicola americana del regista ceco, Taking Off, vincitrice del Grand Prix Speciale della Giuria al 24º Festival di Cannes nel 1971. Nonostante sia stato un flop al botteghino, Taking Off rimane l’opera più sottovalutata di Forman e, piano piano, la critica cinematografica sta iniziando a rivalutarlo. Il film è una satira pungente sugli scontri generazionali, incentrata sui rapporti difficili tra figli e genitori, e rappresenta un ritorno ai temi dei suoi primi lavori come Lásky jedné plavovlásky. I protagonisti in questo caso non sono i giovani ma i genitori, che nella ricerca dei figli fuggiti da casa imparano a fumare marijuana e giocare a strip poker, per poter capire meglio la loro generazione. Come spiega l’intellettuale sloveno, il film rimane affascinante perché “Forman cerca di interpretare la classe media americana attraverso occhiali cechi”. Proprio il punto di vista straniero con cui è dipinta l’America del tempo potrebbe essere un motivo per cui il pubblico non riuscì a comprendere a pieno il film, quando questo uscì.

I film successivi di Forman, a prima vista sembrano più “americani”, in quanto ambientati in America e spesso basati su libri o personaggi americani. Così pare, ma in realtà il regista non abbandona mai gli argomenti delle sue prime opere. Il suo primo successo commerciale arriva nel 1975 con Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno dei pochi film della storia del cinema a vincere tutti e cinque gli Oscar principali (miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice, migliore sceneggiatura non originale) e un successo sia di critica che di pubblico. Il film è più “occidentale” solo in apparenza, visto che è tratto dal romanzo dello scrittore americano Ken Kasey e l’azione si svolge all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Stato dell’Oregon, ma la metafora potente del romanzo, la ribellione contro una società oppressiva che vuole istupidire o lobotomizzare chi non accetta le imposizioni dall’alto, in effetti è pane per i denti di un espatriato proveniente da un regime comunista e non è un caso che Forman lo abbia scelto. Anche se la famosa fuga finale dell’indiano che corre verso la libertà, dopo aver strappato il lavabo di marmo da terra e averlo scagliato contro una finestra, era considerata una scena che parla di America, Forman l’ha interpretata diversamente. In una intervista con la BBC poco dopo l’uscita del suo film Man on the Moon, Forman affermò che la scena per lui rappresentava “il sogno del 99% dei giovani nei paesi comunisti”, perché non potevano viaggiare e quindi si sentivano come se fossero in uno zoo, con la voglia di scavalcare i cancelli e vedere il mondo. La bravura di Forman sta anche nella sua capacità di fare un cinema sull’oppressione sia nelle società comuniste che nelle società capitaliste.

I temi della libertà e dell’individualismo sono prevalenti nell’intera filmografia del maestro. Anche il suo film più premiato (8 premi Oscar), Amadeus (1984), che rappresenta il suo primo ritorno in patria dopo l’esilio volontario, racconta il rapporto fra un artista (Mozart) e le autorità, concedendo a Forman la possibilità di attaccare la censura del suo paese. Egli ripete spesso che se dovesse scegliere fra la censura politica della sua patria e le pressioni commerciali di Hollywood, preferisce la seconda, poiché in questo caso sono gli spettatori che determinano le scelte artistiche e non “un idiota” con un’ideologia specifica, giusto per citare Forman stesso. Questo film gli offre la possibilità di mettere in risalto il suo pensiero a proposito della censura. Comunque, da questa prospettiva, un’opera chiave nella sua filmografia è Larry Flynt – Oltre lo scandalo (1996), un’opera biografica sull’eccentrico e anticonformista imprenditore che fonda la rivista Hustler. Con un protagonista che si potrebbe definire “formaniano”, il regista usa l’esperienza del suo periodo cecoslovacco per affrontare la delicata questione della libertà d’espressione, con i suoi soliti tocchi di furbizia. Forman sceglie un altro personaggio eccentrico e fuori da ogni schema nella sua successiva pellicola Man on the Moon (1999) con un grande Jim Carrey nel ruolo del polemico comico americano Andy Kaufman. In questo caso, Forman ancora una volta dimostra la sua passione per individui che rifiutano di conformarsi alle norme; il film vince l’Orso d’argento per la miglior regia al festival di Berlino.

Infine, è vero anche che Forman, in alcuni film, abbia deciso di parlare esplicitamente della società americana: un esempio è Hair (1979), icona dell’antimilitarismo, in cui il regista esprime la sua opinione sulla guerra in Vietnam e sulla beat generation. Il cineasta è comunque sempre riuscito a lasciare l’impronta sui suoi progetti, e le sue origini sono evidenti in tutti i suoi film, scegliendo ogni soggetto con estrema attenzione. I temi dell’individualismo, della libertà, dei conflitti inter-generazionali sono tanto sinonimi del nome di Miloš Forman, quanto di quello del direttore della fotografia, Miroslav Ondříček, il quale ha lavorato con il regista sin dai suoi primi film cecoslovacchi. Il fedele collaboratore del boemo, anni fa ha svelato alla rivista Blesk il motivo che ha spinto Forman ad abbandonare il suo mestiere: una grave patologia che ha colpito i suoi occhi. L’artista comunque non ha del tutto abbandonato il mondo del cinema e si diverte ancora a fare l’attore, ricordandoci il suo motto “un regista è un po’ di tutto: un po’ sceneggiatore, un po’ attore, un po’ montatore, un po’ costumista. Un buon regista è colui che sa scegliere per questi ruoli professionisti molto migliori di lui”. La sua mancanza da regista, tuttavia, lascerà un vuoto nella cinematografia mondiale, un vuoto estremamente difficile da colmare per le nuove generazioni del cinema europeo e americano.

di Lawrence Formisano